Nascita del cognome
in Italia

  Un nome viene scelto, un cognome no.

  Un’indagine sui cognomi italiani rivela che nella nostra penisola, ci sono 128.384 forme nominali contro 279.989 forme che definiamo cognominali.

    Nell’epoca cristiana il primo uso documentato di veri e propri cognomi si riscontra nel Veneto e più precisamente a Venezia. Già gli antichi romani adoperavano i cognomi: anzi, ogni rispettabile cittadino era normalmente designato con il nome proprio, con il nome gentilizio (cioè della gens o famiglia cui apparteneva) e con il “cognomen” ovvero soprannome, facoltativo. Prendiamo ad esempio il nome del più famoso oratore: Marco Tullio Cicerone. Esso stava ad indicare un individuo denominato Marco, della famiglia dei Tullii, il cui soprannome faceva Cicero, cioè “bruffoletto“; il signor Bruffoletto, appunto. Poi sopravviene il crollo dell’impero romano e gli uffici anagrafici vanno a catafascio con tutto il resto. 

    I  cristiani dei primi secoli si conoscevano fra loro soltanto con il nome di battesimo, che poteva essere di estrazione ebraica, greca, romana o germanica. Nei casi ambigui si ricorreva all’aggiunta del nome del padre (patronimico). Ciò perché un Tizio figlio di Caio non corresse il rischio di essere scambiato con un altro ed omonimo Tizio, figlio di Sempronio. La  faccenda, è arguibile, poteva avere dei lati seccanti nel caso di mandato di cattura o di riscossione delle imposte.  Volta per volta, l’immortale categoria degli Amici Burloni provvedeva di sua iniziativa ad appioppare un qual­che nomignolo su misura. 

Sono appunto i patronimici ed i nomignoli che formano la base dei moderni cognomi.

   I  cognomi, come ora li intendiamo, nascono e diventano di uso comune con l’estendersi della scrittura. Quando l’analfabetismo regnava sovrano (tant’è vero che imperatori come Carlo Magno erano analfabeti) i nomignoli e i patronimici individua­li morivano regolarmente (e si potrebbe dire giustamente) con la persona che li portava.  Ma non appena cominciano ad essere messi su carta dalla penna d’oca di uno scrivano, essi manifestano la tendenza a trasformarsi da nome di un singolo a denominazione di gruppi  familiari e cristallizzarsi.

Per spiegarci con un esempio, supponiamo  il caso di un artigiano veneziano del XIII secolo o giù di lì, che la voce popolare designava comunemente  come “Giovanni il Rosso”, o meglio “Zan il Rosso” senza dubbio per via del colore dei capelli. Un bel giorno il nostro uomo si presenta dal notaio per riscuotere i quat­tro ducati di una piccola eredità e il suo nome viene messo per la prima volta sulla carta, nero su bianco. Oppure è il “piovano” che si prende la briga di annotare il nome  nei registri parrocchiali e che indica un battezzato, indicandolo come “Piero di Zanrosso”. Il cognome Zanrosso è nato e sarà portato per secoli dai discendenti, anche se nessuno di questi avrà, metti caso, il privilegio di un ciuffo color carota paragonabile a quello del loro antenato. Sembra che i notai e i piovani di Venezia fossero particolarmente zelanti in questo genere di faccende. E’ infatti a Venezia, come si diceva, che si registrano i primi esempi documentati di cognomi scritti e sta­bilmente fissati per designare un gruppo familiare.

    Le modeste origini, come quella descritta nell’esempio, sono per lo più alla base della sterminata varietà dei cognomi in uso. Ci sono cognomi comunissimi  e cognomi eccentrici.  Cognomi buffi che pesano come una maledizione sugli sfortunati che li portano. Cognomi neutri e modesti come un abito grigio rivoltato per economia. Cognomi pomposi e perentori come il colpo di grancassa che chiude un prologo wagneriano; altri difficili da ricordare come la capitale del Madagascar; taluni bizzarri come uno scioglilingua. Cognomi che al telefono assolutamente non si capiscono. Ci sono cognomi etimologicamente trasparenti e cognomi la cui interpretazione richie­derebbe il fuori orario di una commissione di esperti. Ma tutti i cognomi hanno il loro perché. 

    I cognomi patronimici sono forse i più numerosi.  Sono quelli che hanno alla base il nome di un santo del calendario. Molto spesso, però, questi nomi hanno subito deformazioni foniche che li rendono irriconoscibili. Così, se è evidente che il cogno­me come “Tonini” non può derivare che da ‘Antonio”, difficilmente un qualsiasi signor “Serato” o  “Sarotto”’ sospetterà che il suo cognome è tributario di Baldassa­re. Il cognome “Vianello” (senza dubbio il più diffuso dell’anagrafe veneziana) viene da “Viviano” e i primi Vianello, o “Vivianello” arrivano a Venezia dalla Toscana nel XVI secolo e si acquistano fama, documentata dai cronisti, di “grandissimi homeni de faccende”. In molti casi l’etimologia è particolarmente difficile perché risale a nomi ormai scomparsi dall’uso e che sono, invece, comuni nel Medioevo, allorché rudi genitori non esitavano un istante ad affibbiare a innocenti neonati nomi propri come Ercio, Natanaele, Gundaforo  oppure - se il neonato era una fem­minuccia – Arfedovia, Gualfarda, Rechentaria… Strano che nessuno storico abbia pensato al dramma psicologico di un fidanzato medievale dotato di un minimo di sensibilità poetica, che aspirasse alla mano di un’affascinante donzella appellata “Rechentaria”. 

    Quasi altrettanto ampia è la categoria dei cognomi derivanti da soprannomi veri e propri. Qui entrano in scena tutte le possibili deficienze o qualità, fisiche o morali, che possono contraddistinguere un individuo. Ma l’evoluzione del dialetto, che è sempre alla base del nomignolo originario, fa sì che, anche in questo caso, la radiografia di molti cognomi sia problematica. Per fare qualche esempio tratto dal fertile campo dei cognomi veneti, accanto a cognomi-nomignoli abbastanza evidenti come “Nason” o “Gobbo” o “Bellotto” ecco tutta una serie di cognomi-rebus la cui spiegazione esige la conoscenza di antiche voci dialettali più o meno scomparse: è il caso di “Baghin” (da “baga”, otre), di “Inguanotto” (“inguana” era la strega), di “Sabbadin” (nato di Sabato), di “Sbisà” (che starebbe per “Stolido”), di “Zanchi” (come dire “mancini”) e via esemplificando.

    Spesso il cognome ha origine da nomi di mestieri esercitati dagli avi; da appellativi  indicanti dignità o parentele; da nomi comuni di bestie o di piante. Anche in questi casi l’identificazione dell’etimo può riuscire difficile. Poi ci sono, abbastanza diffusi, cognomi rispecchianti derivazioni geotopografiche oppure appellativi etnici; è i il caso di “Canal” di “Pozzo”, di “Costa”; come pure di “Crovato” (croato), di “Spagnol” di “Todesco” di “Schiavon” di “Bressan” (bresciano), di  “Bergamin” , ecc…

Un elenco telefonico è in fondo una specie di enciclopedia, e, insieme, un collettore di lontane svanite memorie: un repertorio del passato che il nostro occhio consulta frettolosamente senza pensare che ognuno dei cognomi allineati alfabeticamente è un documento di storia umana.

 

Cartina del territorio della Bassa Friulana all’inizio del 1700.